Il riso – un racconto
ottobre 29, 2017 § Lascia un commento
Il traghetto è una barca lunga, con il motore potente e i finestrini oscurati da tende bianche. Partiamo a fine settembre, un vento caldo soffia dai monti e la luce del sole cerca le montagne. Le nostre labbra sono secche e sentiamo il fruscio dei vestiti sul rivestimento delle poltrone, mentre il porto cola a picco da poppa e il mare tagliato si apre al cielo pulito.
Un sonno leggero forma rivoli di sudore nei corpi seduti. Godiamo del rollio del traghetto e dell’odore di benzina. In fondo, all’altezza dell’ultima fila di posti, una montagna di trolley e borse da viaggio rischia di crollare ad ogni virata. Superiamo le prime isole che sembrano un arcipelago di sassi. Vediamo masse di terra riarsa circondate da acqua verde. Boschi di pini e conifere ci salutano dalle scogliere color ruggine.
Le lingue parlate sul traghetto emergono nella seconda ora di navigazione; il gaelico e il basco, l’austriaco e il finlandese, il russo e il coreano. La costa del Peloponneso mostra un orizzonte di macchie scure, la vegetazione che cresce bassa e si nasconde dal sole crudo. Pascoli di pecore senza pastore. Monasteri bizantini che puntiamo con le dita sui finestrini caldi.
Mi addormento sognando il rollio di una barca e la lingua asciutta delle notti estive, e ascolto un vecchio oratore dalla barba argentata.
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Gli imperatori di Roma – un vecchio racconto per Victor Cavallo
Maggio 9, 2017 § Lascia un commento
Breve storia di un racconto possibile: Nico D’Alessandria, Victor Cavallo e Bernardino Asvero organizzano l’evasione di Gerardo Sperandini (in arte Gerry) dal manicomio di Aversa; Gerry verrà salvato per diventare il protagonista della pellicola “L’imperatore di Roma”.
“Quindi annotavo, e c’era sempre una pecora magra o una gamba lucida da descrivere, c’erano sempre le stesse storie che perforavano le ulcere dei condannati a vita nelle bettole dove la polvere incrostava i bicchieri, le lingue e i canti dei condannati.
Una sera, a casa di Victor, con un sole lunare che perforava le finestre e una tempesta di fumo che gravitava intorno a noi, Nico e Victor mi raccontarono del 1992”.
Il racconto completo: http://www.terranullius.it/terranullius/narrazioni/74-vita-di-bernardino-asvero-letterato/538
Il Museo dell’Umanità
aprile 29, 2017 § Lascia un commento
Probabilmente stiamo respirando in porzioni di tempo alterate. Subiamo una dilatazione dell’orizzonte, che inizialmente ci sembrava ristretto. Non ci stiamo più muovendo nei magazzini di una fabbrica abbandonata, ma stiamo sfiorando il perimetro di una città che cresce ora dopo ora, scaffale dopo scaffale, reperto dopo reperto.
Il racconto integrale: http://www.terranullius.it/terranullius/narrazioni/94-racconti/834-il-museo-dell-umanita-marco-lupo
Alexandre Marius Jacob
marzo 27, 2017 § Lascia un commento
Tutto ha inizio nel quartiere di Vieux-Port a Marsiglia, centocinquant’anni dopo la pubblicazione del volume The History of the most notorious pirates, un libro scritto da un certo capitano Johnson, un uomo di cui si ignorava l’identità, uno scrittore di vite strappate al legno che aveva solcato oceani e derubato mercantili e fregate. Nel 1724 l’anonimato in letteratura pagava bene, e il libro ottenne quattro ristampe in meno di due anni. Ce ne vollero duecentoquaranta per attribuire quelle pagine a Daniel Defoe, ricamatore di falsi storici, scrittore.
L’epoca in cui nasce Alexandre Marius Jacob vede il conio del primo registratore di cassa, del motore a due tempi, della lampada a incandescenza e del primo prototipo di televisione al selenio. Anni in cui il padre prepara pasti intoccabili nelle cucine dei mercantili che tracciano rotte verso il nuovo secolo, mentre la madre, ancora minorenne, si dedica all’arte proletaria del mistero della fame: vivono in un bilocale senza acqua ed elettricità, e fanno parte di quel mondo di lavoratori che sarà il motore delle guerre a venire, la carne da macello da tirare in ballo ogni volta che il piatto piange e le industrie fremono. Alexandre divora i libri di Jules Verne e fantastica come tutti i bambini, ma come molti suoi coetanei è costretto a imbarcarsi all’età di undici anni. Il bastimento si chiama Thibet e il suo lavoro di mozzo consiste nello svegliarsi alle quattro del mattino per pulire il ponte fino alle otto e poi passare il resto della giornata al buio della stiva, con lo stomaco che si adegua al rollio e gli occhi vivaci che frugano tra le umanità presenti. Crescere con una ciurma che colleziona tatuaggi e storie di porti impronunciabili, ascoltare le lingue bagnate dal rum di contrabbando e imparare a difendersi. Contano molto le cicatrici che sei in grado di evitare, in alto mare.
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La vita naturale – un racconto
gennaio 17, 2017 § Lascia un commento
Non si può vivere senza nemici.
Sarebbe possibile in un posto caldo, schermati da protezioni solari che profumano di agrumi e hanno il colore dei pastelli. Sarebbe possibile in un posto freddo, i piedi coperti da calzettoni di lana, la gola nascosta nelle pieghe di un collo alto e musica quadrifonica che vibra sulla moquette.
Diversamente no, non è possibile.
Leggi il racconto integrale qui.
Il nostro Jean – racconto
giugno 14, 2016 § Lascia un commento
“C’è una strada, da qualche parte a Parigi, di cui non ricordo il nome. Una strada senza porte, coperta da un’ombra che cresce nelle notti di nebbia, che non accoglie nessuno da anni. Sui muri e sulle pietre che delimitano questa strada ci sono disegni di porti scomparsi nella tempesta e foche monache che cantano come sirene e marinai dal collo tatuato che cullano croci e stanze minuscole affrescate a memoria, stanze in cui i mobili non lasciano spazio al pavimento e stanze in cui il tempo ha disintegrato gli oggetti. C’è una marea di figure che implodono, sui muri della strada parigina, e in pochi hanno avuto la fortuna di toccarle con mano.”
Il racconto completo è su TerraNullius:
http://www.terranullius.it/terranullius/narrazioni/94-racconti/776-il-nostro-jean-marco-lupo
Discorso sul metodo
aprile 16, 2016 § Lascia un commento
Quindi Lipsia, il freddo e la luce del nord.
È coperto, ha mangiato e ha trovato il tempo di riposarsi per un’ora, nella sua camera d’albergo con affaccio sulla nebbia. Giornate come questa, nella sua vita, ne ha attraversate moltissime. L’umido che penetra attraverso i vestiti, la sensazione di aver dimenticato qualcosa prima di prendere il volo e di atterrare, quel vago sapore di inconsistenza, di irrealtà, ogni volta che un piede supera l’altro sulle strade di una città sconosciuta, una città di cui ha letto storia e radici durante l’attesa in aeroporto, una città che si apre come un libro dalle pagine crespe, macchiate in punti marginali, vergate in un paragrafo da una mano scomparsa da tempo.
Il racconto completo è su TerraNullius:
http://www.terranullius.it/terranullius/narrazioni/94-racconti/765-discorso-sul-metodo-marco-lupo
Gli ultimi giorni
novembre 28, 2015 § Lascia un commento
C’è una caverna, siamo nei Balcani, è l’età della pietra. C’è una stalla, siamo in Cisgiordania, è l’età dei romani. Siamo ad Asmara, Eritrea, è l’età delle colonie. C’è Thomas de Quincey, siamo a Königsberg, è l’età della moltiplicazione.
http://www.terranullius.it/terranullius/narrazioni/94-racconti/737-gli-ultimi-giorni-marco-lupo
La radice
Maggio 28, 2015 § Lascia un commento
Strappavamo le radici facendo perno su un piede. Ci piaceva il rumore della fibra che si disintegrava in un punto preciso tra la terra e le nostre scarpe sporche di fango. Una volta strappate abbastanza radici, le infilavamo in un sacchetto di plastica. Ognuno di noi aveva un coltellino svizzero con cui tagliare le estremità e ripulire la scorza scura e affumicata. Ci sedevamo in cerchio in un campo abbandonato, a pochi metri dall’ingresso del cimitero. Lavoravamo finché c’era luce, e la luce dei campi era generosa e lenta, e all’ultimo fremeva con un bagliore che saliva fino alla torre saracena e si spegneva oltre la scogliera nera.
Tornavamo in paese con le tasche piene di liquirizie e ci fermavamo alla prima fontana libera. Le bagnavamo a lungo sotto lo scroscio dell’acqua e poi le lasciavamo asciugare su una panchina. Ormai fradici e con le scarpe incrostate salivamo sulle biciclette e tornavamo a casa.
Il racconto completo: http://www.terranullius.it/terranullius/narrazioni/94-racconti/714-la-radice-marco-lupo
Tallulah, Louisiana (quando Sherwood Anderson ascoltò la storia degli italiani linciati a Tallulah)
aprile 12, 2014 § Lascia un commento
“L’uomo ha una foresta nel nome: una quercia maggiore millenaria e una leggenda. Si è occupato di vernici, ha scritto lettere da Cuba durante una guerra, ha bevuto birre in un chiosco a Chicago per ore e ha parlato di come dovrebbe essere la vita senza il lavoro con tedeschi, irlandesi, inglesi e polacchi: nelle notti trascorse sui tavoli hanno discusso su quanto sia difficile scrivere e dipingere con una mano sul pomello della porta, sperando che i bambini non si sveglino, implorando tua moglie per un’ora di silenzio, dichiarandosi vinti ogni volta che una preghiera muta si rivelava irrealizzabile, ogni volta che un sorso di vino o una pinta di birra in più li spingeva ad urlare e a fare della lingua un ponte per trasportare la rabbia che li nutriva nei sogni, quando si vedevano chiusi nelle bolle di sapone trasparente, in volo su città inesistenti ma simili alle loro minuscole province, dove le case perdevano pezzi se non li ricucivi e dove i bambini piangevano se non li cullavi.
Il treno trasporta soldati e mercanzie come botti di birra e stoffe da rivendere nelle mercerie. Il treno attraversa lo stato libero dell’Ohio. In questa giornata fredda l’uomo che ascolta la storia si chiama Sherwood Anderson. Ha avuto modo di presentarsi all’uomo che gliela racconta nelle prime ore del viaggio: hanno condiviso il pane che uno dei due aveva acquistato da un fornaio senza un occhio, a qualche centinaio di metri dalla stazione di partenza; hanno bevuto dalla stessa bottiglia trasportata su strade sterrate e su fiumi; si sono raccontati storie di quando erano bambini e di come non lo sono più stati; hanno snocciolato nomi di persone ormai morte e nomi di persone mai riviste e hanno descritto i particolari dei lori visi e le circonflessioni delle loro lingue.”
Questo pezzo è uscito su TerraNullius, nella rubrica “Santi, eroi & scrittori“. Il link al pezzo completo: http://www.terranullius.it/terranullius/narrazioni/38-santi-eroi-a-scrittori/601-tallulah-louisiana-marco-lupo
Nestore querelato – Il mio intervento sull’Ilva al RedReading #2, 10 dicembre, Teatro Argot
dicembre 18, 2012 § Lascia un commento
“Per esempio la breve storia di due uomini che indicono una conferenza stampa per invertire la tendenza in ossequio alle norme ufficiose delle conferenze stampa. Dare un’informazione. Dire ciò che in pochi sanno, che in pochissimi dicono. Dire che la parola fabbrica a Taranto, in Italia, nel 2007, significa 665 chilogrammi di mercurio disciolti nelle acque dei pescatori, dei bambini con le labbra sempre livide, dei pesci che ignorano la parola. Che 1385 chilogrammi di mercurio sono dispersi nell’atmosfera, che è di tutti, dei bambini con il moccio incrostato come degli assassini. Dicono, questi due uomini con le loro salive scintillanti, che il 62,5% di tutto il mercurio proveniente dalla grande industria in Italia è un marchio DOC tarantino.”
Fottuto Franz – un racconto uscito su TerraNullius
dicembre 18, 2012 § Lascia un commento
“C’è del bello nell’odio. Un profumo di anni che scivolano in appartamenti bombardati da spifferi e accerchiati da inquilini verdi e silenziosi. Il suono degli scalini di legno, lisci come il culo delle puttane di Praga est, pericolosi con la pioggia e mortali con la fretta.
Il bello dell’odio è che te lo ricordi sempre. Non c’è niente di meglio del peggio. Niente che possa competere con l’astrazione di un uomo, con il concepimento della sua colpa, con l’internamento della sua coscienza. Sembra difficile smettere di pensarlo, quell’odio, anche oggi, persino in questo letto che scende verso Treblinka, persino in questa maschera di plastica che suona come il trattore di un nano.
Tutto questo solo per amore. Buffo l’uomo, veramente. Ama e odia in parti uguali.”
Il massacro di Aigues-Mortes
luglio 1, 2012 § Lascia un commento
1893. Un numero impreciso di operai italiani (tra i quattordici e i novanta) viene assassinato in un’esplosione di violenza xenofoba. La popolazione di un piccolo paesino francese massacra uomini che hanno viaggiato per giorni, per raggiungere un posto in cui la parola lavoro ha ancora un significato. Il posto si chiama Aigues-Mortes. Il lavoro consiste nel trasportare pezzi di sale in una terra bianca che assomiglia a certe illustrazioni del Paradiso. Rosarno è vicina.
«Gli italiani cominciano ad esagerare con le loro pretese. Presto ci tratteranno come un Paese conquistato. (…) Fanno concorrenza alla manodopera francese e si accaparrano i nostri soldi a vantaggio del loro Paese.»
Le Mémorial d’Aix, 20 agosto 1893.
«Il decremento della natalità, il processo di esaurimento della nostra energia (è da cent’anni che i nostri compatrioti più attivi si distruggono nelle guerre e nelle rivoluzioni) hanno portato all’invasione del nostro territorio del nostro sangue da parte di elementi stranieri che s’adoprano per sottometterci.»
Maurice Barrès, Contre les étrangers, agosto 1893.
«Contro un’orda di affamati che a casa loro languiscono nella miseria.»
La Lanterne, 28 dicembre 1893.
«Vittoria della nostra identità, una squadra che ha schierato lombardi, campani, veneti o calabresi, ha vinto contro una squadra che ha perso, immolando per il risultato la propria identità, schierando negri, islamici, comunisti.»
Roberto Calderoli, a proposito della vittoria della nazionale di calcio italiana contro la Francia nella finale dei Mondiali 2006.