DIARIO MINIMO DA BORGIO VEREZZI (cronache di un suggeritore)

dicembre 9, 2010 § Lascia un commento


Borgio Verezzi (5 luglio, ore 17:05).

La fermata che lo precede si chiama Finale Ligure. A sinistra il mare. A destra le colline. L’albergo delle Rose mi ricorda le vacanze romagnole, anche se non le ho mai fatte. La camera è minuscola, caldissima. Un televisore Phonola mi scruta torvo dall’alto. Sul letto singolo hanno piazzato un quadro – vista panoramica dall’alto della costa e delle luci al crepuscolo – di un certo Vincenzo. Una cassaforte con combinazione digitale piazzata sopra al telefono bianco della sip mi ha scoraggiato, poi mi ha adulato, e così ci ho infilato dentro il telecomando. Poi l’ho chiusa digitando un pin molto comune. Poi ho cercato di riaprirla. Ho sentito l’urgenza di chiamare Pippo, l’uomo che sta al banco dell’accoglienza. E’ molto gentile e mi ha detto tre volte benvenuto. Ha anche detto che manderà qualcuno. Gli ho risposto che va benissimo così. Va tutto benissimo.

Borgio Verezzi (6 luglio, ore 11:06).

Il cappuccino a Borgio costa 1.50 euro, schiuma compresa. La località è balneare, mi ci è voluto un giorno per capirlo, ma ora lo so: Borgio Verezzi è il classico posto per famiglie tedesche, con i tradizionali bambini tedeschi immusoniti e le mamme teutoniche appesantite dalla dieta alle fettuccine. Padri crucchi non ne ho ancora visti, ma posso sentirne l’odore, l’aroma.

Ho anche scoperto che l’uomo alla reception si chiama Gustavo e non Pippo, e che abbiamo tantissimo in comune. Gustavo è l’albergatore d’altri tempi, con la camicia a righe ben stirata e le scarpe nere lucide. La camera è piccola, calda e le zanzare si trovano a loro agio. Ieri sera ho scoperto che le zanzare sono attratte dal calore corporeo e non dal sangue dolce. Mi sono svegliato alle 07:15 e ho fatto una doccia. La monodose docciaschiuma all’odore di pino è fosforescente come il mostriciattolo dei ghostbusters. Mi chiedo se le donne delle pulizie mettono a tutti la stessa bustina, o se è personalizzata, oppure se cambia ogni giorno. Quindi ho fatto colazione. In terrazza, mi ha detto la cameriera, voi del teatro in terrazza. Ok. Dalla terrazza si vede il mare e la fermata della stazione di Borgio Verezzi, che è grande quanto la Fiat Panda 750. Mentre sorseggiavo il caffè lungo già zuccherato ho dato un’occhiata alla spiaggia e ho notato un gruppetto di padri crucchi occupati a spalmarsi la cremina solare.

Poi finalmente Gustavo. Mentre si avvicinava al tavolo con un sorriso schietto, aperto, un sorriso d’altri tempi, con denti che non si imbarazzano a mostrarsi per come sono (giallo senape), ho pensato che io e Gustavo saremmo potuti diventare amici, che Gustavo avrebbe potuto raccontarmi le storie di Borgio, che io e lui ci saremmo divertiti tantissimo e che magari ci sarebbe scappata qualche birra, ecco. Così Gustavo è arrivato al tavolo, la camicia a righe ben stirata, le scarpe nere lucide lucide. Ha fatto un gran sorriso e mi ha chiesto:

– Non è che puoi procurarmi due omaggi per la prima?

Borgio Verezzi (7 luglio, ore 11:07).

Stamattina mi ero ripromesso di dormire. Ma poi tutta l’allegria teutonica si è riversata nella mia stanza: voci leggiadre di putti biondini, zoccolette appena rodate sull’impiantito del corridoio, parole di orchi raffreddati che dicevano – ja,ja, schneller!

Così sono sceso in terrazza per la colazione. La cameriera mi ha riconosciuto subito e non c’è stato bisogno di dire niente, come quando c’è un’alchimia precoce tra due persone, come quando una scintilla in un occhio si rispecchia in un altro, e così zigzagando tra i tavoli occupati da anziane signore vedove felicissime di essere vive e sole e tavoli in cui bambini con i capelli gialli posticci e la cioccolata appesa al naso come moccio, ecco, ho trovato la strada per il mio tavolo. La cameriera mi ha fermato con un gesto ampio del braccio (una variante del coscione di cinghiale, ma più bianca) e mi ha indicato un tavolo tra i crucchi e l’ottuagenaria affamata di zucchero. Io ho detto, non esiste al mondo. Lei ha detto, non esiste al mondo che?

Poi è arrivato Gustavo e ha sistemato tutto. Mi ha chiesto dei biglietti. Gli ho assicurato che li avrà. Mi chiedo se Gustavo sia un uomo capace di sopportare una sconfitta. Mi chiedo se Gustavo alzerà il prezzo della camera, una volta scoperto l’inganno. Mi chiedo anche cosa metteranno nel mio caffè annacquato, tra le mie lenzuola dure di lavanderia.

Il cielo stamattina sembrava un’orzata con dentro del gelato al puffo. Sulla spiaggia donne in bikini tenevano la mano a bambine in bikini. Un gruppetto di crucchi maschi rossi e baffosi ha attraversato il mio campo. Gustavo mi ha stretto la mano ed è sceso in reception. Poi è arrivato il mio mito. Da piccolo non ti raccontano che effetto faranno sulla tua vita certi incontri, certi visi, certi pugni. Ho versato lo zucchero nel caffè e poi mi sono ricordato che era già zuccherato, perciò “porca tr….”.

Ed è arrivato lui, l’uomo il cui nome ancora non ricordo, l’uomo che ho cercato nelle notti di infanzia sprecata, l’uomo che entrava in casa mia dal televisore grundig, e tutto questo grazie a Borgio Verezzi. Si è seduto accanto a me. Sudavo. I crucchi in spiaggia si spalmavano la cremina. Una delle mamme in bikini si è tolta il pezzo di sopra. Una bambina ha cercato di emularla. La mamma le ha fatto capire che lei non poteva. Nein!

L’uomo mitico uscito dal tubo catodico della tv commerciale mi ha chiesto come avessi dormito. Poi mi ha spiegato la tecnica del ventilatore, un complicato stratagemma per formare correnti d’aria interne allo spazio circoscritto dalle pareti, e tutto questo per non direzionare direttamente il flusso d’aria sulla schiena o sul petto. Grazie, gli ho detto, cercherò di seguire i tuoi insegnamenti maestro.

Ma poi, gli ho chiesto, non avete mai pensato di fare un’altra serie?

Di cosa?, mi ha chiesto lui.

Dei ragazzi della 3a C.

Borgio Verezzi (8 luglio, ore 16:08).

Stanotte ho sognato Gustavo. Camera 203. Le donne delle pulizie entravano di notte per cambiare le lenzuola. Gustavo si affacciava, sorrideva e sussurrando mi chiedeva dei biglietti. Bagno di sudore. Mi sveglio con 4 ore di sonno sul grugno: splendido trapanare ritmico degli operai che prolungano un’ala dell’albergo. Avrei preferito una coppia in viaggio di nozze. Mi sono chiesto chi sono le persone che dormono nelle camere accanto. Non sento le voci, ma solo gli scarichi. A destra ce n’è uno che pigia ogni 20 minuti. Probabilmente dissenteria. A sinistra, invece, dovrebbe esserci gente parca, impegnata nel risparmio delle fonti non rinnovabili, gente che tira lo scarico dopo tre, quattro bisognini. Brave genti del Nord. Stamattina ho fatto colazione con l’aiuto-regista. La terrazza bolliva e di là, nella sala interna, tre generazioni di crucchi davano soddisfazione ai loro appettiti. Il caffè una brodaglia aromatizzata al Dash, il cappuccino un complicato intruglio alchemico composto di materia gialla bucherellata.

Stanotte abbiamo provato la generale, l’ultima prima della prima. Il regista ha manifestato qualche traccia di nervosismo. Gli attori, leggermente sfiancati dalle 6 ore ininterrotte di prove, hanno reagito stoicamente (qualche quinta ammaccata, ma niente di che). I tecnici, completamente rincoglioniti dal caldo assorbito, hanno cercato più volte di entrare in scena al posto degli attori. Quindi dopo la colazione sono andato a fare la spesa con l’aiuto-regista. Poi siamo usciti dal fare la spesa e abbiamo cercato un pastificio, visto che l’aiuto-regista nutriva il desiderio di comprare un certa qualità di pasta fatta in casa. Mai sentita, ha detto un signore a cui abbiamo chiesto dove trovarla. Cosa?, ha gracchiato una signora che aveva scambiato il rossetto per acqua. Infine, di fronte ad una grande agenzia immobiliare abbandonata da anni, ho preso l’iniziativa e ho cercato di coinvolgere due vecchietti che parlavano fitto fitto sotto una pozza d’ombra.

Scusatemi, sapete dov’è il pastificio?

Ehm, un’informazione, per favore, un pastificio?

Signori, c’è un pastificio da queste parti?

Niente, il nulla, la sordità assoluta o un’impareggiabile strafottenza. Sono rimasti fermi immobili. Ho cercato di penetrare il loro sguardo e ho visto il nulla. Loro continuavano a parlare e io fermo, immobile come loro e con la faccia incredula.

Quindi siamo tornati in albergo. Programma: rimettersi a dormire. Una volta a letto ho sentito bussare. Gustavo.

– Scusami, mi hanno detto che cercavi un pastificio.

– Sì Gustavo.

– Non c’è, l’hanno chiuso due anni fa.

– Grazie Gustavo.

– Ah, una cosa, i tedeschi hanno organizzato una festa per i bambini qui in albergo.

– A che ora?

– Adesso.

Borgio Verezzi (9 luglio, ore 12:03).

Guten Tag aus Borgio Verezzi. Qui, nella terra di commerci e imprese oltremare, qui dove la sabbia è un’eresia e il cappuccino un evento liofilizzato, qui dove cellulite e grassi adiposi trotterellano senza sosta tra le Rose di un albergo e la spiaggia lottizzata (in chiarissime sezioni, specifiche zone di approdo, aree ombrelloni in affitto, ma nessun nudista per carità, ahiahiahi), qui lo sciopero nazionale della stampa indetto dall’Fsni non è arrivato, non s’è sentito, non ha attecchito. Il tirreno si stiracchia tra le banchine e i bagnasciuga, accoglie la ciccia bianchiccia e qualche rara opera galleggiante. Ieri sera la sera della prima. Andò bene, la truppa ebbe un cagotto, un leggero disturbo gastro-psicotico, accompagnato da sintomi simili a certe risse da bar sport, ma poi tutto filò liscio come petrolio sul mare. Ho avuto anche il tempo di toccare chiappette morbide e farmi rubare portafogli e documenti, durante il rituale arcaico, mistico come una tartaruga che mangia vitel tonnato, denominato Merda Merda Merda. Vi spiego come funziona. Gli attori, il regista, l’aiuto, il direttore di scena e i tecnici si ritrovano nei camerini e fanno un cerchio, almeno ci provano. Poi si prendono tutti per mano e quando sono pronti il primo attore o un bambino, se c’è nei paraggi in genere lo si preferisce, alza entrambe le braccia pronunciando la cara cantilena, seguito da tutti gli altri, più o meno contemporaneamente. Merda Merda Merda. Quindi il cerchio si rompe e tutti si lanciano a toccare chiappette in segno di affetto e stima, tirando anche pacchette sulle spalle e sputacchiando la parola magica.

Anche stamattina sono riuscito a fare colazione, ma poi ho sentito il bisogno di ingollare un vero caffè, e sono andato al bar in fondo alla strada. Ho chiesto caffè e acqua della fonte e il baffone dietro al banco mi ha servito subito. Un’occhiata ai tavolini e ho intravisto un giornale. Che giornale sarà?, mi sono chiesto, chi si sarà permesso di uscire in edicola nonostante tutto?: tiè, Libero, splendido giornale di satira anglosassone. Ed ecco entrare un bambino, anima candida, meraviglioso fiore di Liguria, ed eccolo chiedere al baffone, “ce l’hai la gazzetta dello sport?”, e il baffone rispondere, “no”, e un signore con cappello e foulard, “sCiOpErO”, e una signora in abitino succintino, “ci sta il bavaglio, non lo sai che c’è il bavaglio, dì a papà che c’è il bavaglio”, e io sorseggiato il caffè mi sono detto dì la tua, dai, che ce n’è bisogno, che non si vede l’ora qui a Borgio Verezzi di sentirti parlare su temi complessi e universali, e così mi sono ascoltato dire, “sciopero per tutti, sì, tranne qualcuno eh?”, e ho guardato il baffone, e il baffone ha guardato me.

Poi, certo, alla cassa ho scontato tutto pagando 1.50euro. Per ora è tutto.

Borgio Verezzi (10 luglio, ore 11:03).

Ultimo giorno. Stasera spettacolo e poi via, tutti a casa. Stanotte ho deciso di accendere il televisore formato toast, marca Phonola: mi sono appassionato ad un documentario sulla pesca alla trota e ho apprezzato molto il doppiaggio tedesco. Metà dei canali sono sintonizzati su tv crucche e la cosa andrebbe consigliata a tutti quelli che soffrono di insonnia. Il potere della televisione tedesca è trasversale, se uno ci crede. Mentre scrivo sento la presenza minacciosa della donna delle pulizie: so che lei sa che sono sveglio; lei sa che io so che lei è incazzata; ma se lei sa che io so che lei sa allora forse potrebbe bussare; no, non vuole disturbarmi perché ha saputo che sono candidato al prossimo Strega, sempre che la Mondadori decida di ritirarsi per evidente superiorità stilistica e concettuale. Stanotte abbiamo visto la costa dall’alto, le luci brille e le stelle pure. I fari delle imbarcazioni puntati sul mare piatto. E in quel momento di pace, nello spazio apparentemente distante dal cicaleccio dei turisti e dal crunf crunf mandibolare, ho pensato che era finita la cartaigienica/a come fare per farmi cambiare gli asciugamani senza sentirmi uno stronzo sfruttatore del lavoro altrui/ai momenti passati con Gustavo, alla frustrazione di non essere stato abbastanza fraterno con lui, al colore dei suoi occhi quando mi presenterà il conto/ai rituali pagani e non che vengono ripetuti sul palco, dietro le quinte, nei bagni con il gocciolio infinito, vicino a un ulivo rugoso, prima che la prima sia passato, prima di uscire da una tenda e dire quello che va detto:

alcuni pregano un dio sfregandosi le mani, inginocchiati sul pavimento grezzo di una chiesa di pietra, altri si smarmellano le parti basse, mangiucchiando contemporaneamente le unghie della mano libera, altri si truccano fino allo sfinimento, per poi lavare asciugare e rifare tutto daccapo, altri cantano e ringhiano e ululano, altri stanno zitti, certi sudano, a qualcuno vengono tre minuti prima di entrare in scena, altri ancora si fermano e guardano soltanto.

Mi mancheranno gli scarichi delle stanze accanto e il signore che si affaccia sempre dal balcone di fronte per fare il verso a quattro uccellacci con fissa dimora sul pino in cortile, mi mancherà l’aria diffidente dei liguri, alcune bocche storte, mi mancheranno le lenzuola dure dure, il cuscino piatto piatto, e poi altre cose che non posso dire. Questa era l’ultima.

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