Goffredo Fofi sul Bianciardi

febbraio 19, 2011 § Lascia un commento

«Il suo anarchismo era assai povero e la sua tempra assai fragile. Ha additato dei mali, ma si è ritirato molto presto dalla mischia, pensando di risolverli con l’ironia e la diversità, e che anarchico volesse semplicemente dire individualista, non collaborazionista. Non ha cercato gli altri, se non tra persone fragili come lui o in attesa, semplicemente, della loro occasione. Non si è mai ripreso dal primo choc, dopo le ansie di una gioventù vitellona ma entusiasta e fattiva. Quello choc si è chiamato Milano, o meglio modernità, progresso, “miracolo economico”, Italia del benessere, della produzione, del consumo, dell’egoismo, del ripudio di ogni senso comunitario e di ogni vera gioia del vivere, di ogni autenticità.

Vittima del boom, Bianciardi merita il nostro rimprovero: avrebbe potuto e dovuto fare di più, resistere, discutere, aprirsi, dare, provocare. Se non ce l’ha fatta, un po’ di colpa è anche sua, che si è arreso troppo facilmente, troppo presto.»

 

Dall’introduzione a “L’integrazione”, scritto nel luglio del 1959 in dieci giorni di “vacanza traduttoria” e pubblicato da Bompiani l’anno dopo.

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