Favola per mio fratello

marzo 29, 2011 § Lascia un commento

C’era un periodo della mia vita in cui inventavo storie per mio fratello Andrea, due anni, soprannominato Gorbaciov per via di una voglia rossa sulla fronte. Questa è la storia che preferiva:

per la popolazione che abitava la regione del Culbercaz, i Dughirak, le uniche porte comunicanti con il sottosuolo erano i vulcani. Perciò, una volta all’anno, ogni 1576 giorni (l’equivalente di 4 anni nel nostro emisfero), lo sciamano, che nella lingua dei Dughirak si chiamava Saldimvanc, sceglieva in una notte senza stelle il prescelto, che nella lingua dei Dughirak si chiamava Fotfot, il quale veniva calato nella bocca del vulcano prima che il sole ne scaldasse la cima.

Fotfot poteva essere un padre di famiglia o un giovane guerriero o un anziano rincoglionito o un bambino allo stadio delle caccole, ma in qualsiasi caso nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. L’importante per i Dughirak era che nessuna donna entrasse nel ventre del terra, perché erano convinti che ci sarebbe stato un rigetto, a cui sarebbe seguito un trunctranc (terremoto), a cui si sarebbe sommato un martrunctranc (maremoto), e che in definitiva sarebbe stata una bruskmandalghistert juvinyal retupolxanex (sciagura).

Ma le storie tramandate dai Dughirak narrano di una volta in cui il Fotfot, una giovane lustratrice di pietre sotto le mentite spoglie di un giovane pescatore di tartarughe, si fece calare nel ventre della terra. Nessuno s’accorse del travestimento, neppure il Saldimvanc (sciamano). Quando il Fotfot tornò alla superficie i Dughirak scoprirono la verità, perché il Fotfot, essendo stato a contatto con le esalazioni di zolfo, aveva le pelli di brunghfar (alce) ridotte molto male, e le si videro i seni.

I Dughirak si strapparono i capelli, si disperarono lanciandosi sui carboni ardenti, si maledirono fabbricando gli antenati di reggiseni e boxer, si maledirono nuovamente inventando una cosa che prevedeva che in molti avrebbero deciso sul futuro di uno, e in questo caso decisero che Kalamanera (non vuol dire nulla) venisse bruciata nella pubblica piazza. L’idea era che se Kalamanera fosse stata sacrificata al vulcano, non ci sarebbero stati trunctranchi (terremoti), martrunctranchi (maremoti), e che in definitiva si sarebbe evitata una bruskmandalghistert juvinyal retupolxanex (sciagura).

Ma nessuno aveva ancora fatto i conti con Neminemi (non vuol dire nulla anche questo), la sorella maggiore di Kalamanera, che salì sulla pietra più alta del villaggio e pronunciò un discorso rimasto celebre per secoli: «Dughiraki, capisco la vostra intolleranza, il vostro irreprensibile razzismo, la vostra inenarrabile ottusità, ma vi prego, vi scongiuro, non bruciate mia sorella, perché se Kalamanera morirà per mano vostra, voi sarete maledetti per il resto del tempo che vi resta, ammesso che il vulcano non si incazzi, perciò vi ripeto, non bruciate mia sorella. Vi propongo una cosa nuova, forse rivoluzionaria: spostiamoci da qui, andiamo a valle, allontaniamoci dalla costa, fuggiamo dal vulcano, dove nessun truntranc, nessun martrunctranc possa toccarci».

I Dughiraki rimasero in silenzio. Poi accopparono Neminemi. Poi bruciarono Kalamanera. E infine inventarono il trasloco.

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