Cartolina del Lupo, 4 maggio 2011, dall’appartamento di un esule argentino

Maggio 4, 2011 § Lascia un commento

Cartolina del Lupo, 4 maggio 2011, dall’appartamento di un esule argentino

Non so perché guardo il sicomoro o perché sposto lo sguardo verso lo zuccotto pieno di yerba de mate e acqua calda, non so perché penso a Bolaño mentre lo leggo, ma so che dice una cosa, a proposito degli esuli: “forse tutti noi, scrittori e lettori, diamo inizio al nostro esilio, o almeno a un certo tipo di esilio, quando ci lasciamo alle spalle l’infanzia”.

Qualcuno lascia la terra rossa e trova la terra argillosa, qualcuno vive sull’acqua e poi scava buche nel deserto. Mentre penso a mio padre e ai suoi fratelli, al sudore che colava dalle loro fronti quando lavoravano in un paese lontano, freddo di mattina, freddo di pomeriggio, gelido di notte, quando intuisco che io sono il frutto di quel sudore, sono la stessa carne e la stessa pelle, allora il Gaucho inzia a suonare il bandoneón. Scorre la vita mentre il Gaucho suona. Scorrono le buste della spesa nella strada. Scorre il suono di una suoneria. Scorre il ricordo di ieri sera, del bacio, di un portone sbattuto in faccia. Scorre il ricordo del mio esilio. Io sono carne. Il popolo ha smesso di essere umore e verità. Il popolo fa il pubblico. Ma il popolo merita se stesso. Merita di meglio. E mentre penso ascolto il tango del Gaucho che parla di un uomo che muore, uno che presto sarà esule, uno che andrà via, che vede i figli che ama entrare nella camera in cui sta morendo, e i figli poi scompaiono, e lui pensa solo all’oppio, ad averne ancora, e non sa cosa è vero. Poi il Gaucho mi invita a uscire. La strada è deserta. Un gatto striscia il pelo sul lampione.

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