Le cose che accadono

Maggio 2, 2011 § Lascia un commento

Le cose che accadono


Non cresceva. Gli avevano detto che sarebbe ricresciuta.
A febbraio del 2011, il 14 febbraio, mentre i nati festeggiavano compleanni o subivano i festeggiamenti, quel giorno lui misurò il vuoto che sostituiva la mano. Niente.
Uscì sul portico che suo padre aveva costruito con premura, prima di morire in un incidente domestico. Il marmo del pavimento bianco e nero, le mattonelle sporche di sabbia subsahariana. Un tavolino da giardino rovesciato su un fianco. Il dondolo scartavetrato in agosto. Un cestino di plastica, blu, con dentro delle cesoie, le cesoie di suo padre. Quel 14 febbraio lui iniziò una nuova vita. Imparò a potare i rami e in seguito lesse qualche manuale di botanica e infine diventò un giardiniere, un bravo giardiniere.

Il giorno dopo lo scivolo giallo del kindergarten era ancora bagnato, ma lei salì comunque gli scalini di plastica.
C’era vento forte e pioppi intorno.
Chissà perché, prima di scivolare sulla rampa stretta dello scivolo, fece un saluto militare che poteva essere confuso con il gesto di ripararsi gli occhi dal sole. Scivolò.
Più tardi, a casa, rispose al telefono senza rispondere. Non disse nulla. L’altra parte capì, forse, oppure intuì, oppure chiuse e basta.
Lei scivolò nel sonno, quella notte, con il profumo del bucato tra i denti. Asciugamani e lenzuola sparse sul letto. Si svegliò presto, sugli occhi il tessuto molle delle sue mutande. Bevendo acqua vecchia dal bicchiere sul comodino pensò all’uomo che aveva visto nel parco.

Non lavorare per niente non era una buona idea. Doveva cercare qualcosa da fare. Richiamare vecchi amici, per esempio. Cambiare idea sul richiamare vecchi amici, inoltre. Camminare molto, cercando di tenere il vuoto della mano andata per sempre nella tasca della giacca. Pensò, un giorno, che era condannato a un’estetica invernale, che anche a luglio avrebbe dovuto indossare una giacca con una grande tasca sul lato destro. Fece del suo meglio per non pensarci.
Andò al kindergarten, a prendere il sole dalla panchina, pensò. La panchina era di legno, come le vecchie panchine, non in acciaio, come le nuove panchine. Seduto sulla panchina, l’asse centrale non ce la fece. Il rumore del legno marcio che si disintegra solleticò la parte inferiore del suo corpo, che poi è la stessa parte che finì sul sabbione. I pioppi scioglievano il cielo in migliaia di forme verdi. La madre di un bambino disse, aiuto. Lui rispose solo, via da qui.

Lei si era messa in testa di scrivere. Voleva scrivere le storie dei bambini che mangiavano nella mensa in cui lavorava. Voleva scrivere perché le piaceva sapere tutto quello che si poteva sapere sulle abitudini alimentari di un bambino. Scrisse un paio di bambini, ma poi la noia le prese le ginocchia. Si fece un tè, ma poi la noia la spinse verso il mappamondo elettrico, con la luce bianca che sul mare diventava verde e arancione sulle montagne marroni. Fece girare il mappamondo, ma non lo fermò. Rispose al telefono. Disse solo, voglio fare l’amore con Marlon Brando.
Il giorno dopo era maggio, le preghiere della vicina che aveva i capelli crespi e viola.
La vicina pregava su un altare bianco in cortile. Se lo portava dietro da casa. Pregava, guardava il cielo, baciava il libro delle preghiere, si alzava soffrendo, diceva qualcosa al gatto che leccava l’acqua dalla ciotola, prendeva l’altare e se ne andava via, a casa.
La città festeggiava. Il suo paese festeggiava. Lei era in bagno, stesa sul pavimento grigio, le mutande bianche profumate.

Una cosa che non vuoi che accada accade. Il 2 maggio, che era il giorno in cui gli americani dicevano a tutti gli altri che il tizio delle torri gemelle, quello che in tanti dicevano, non è il tizio delle torri gemelle, quel giorno che gli americani dissero il tizio è morto, noi lo abbiamo ucciso, quel giorno lui guardava il dondolo e pensava, voglio verniciarlo, ma non posso. Devo aspettare qualcosa, pensò. Il cielo, quel giorno, era un cielo da immusonirsi. La piantina di basilico che aveva piantato nell’orto non stava bene. Il limone era rigoglioso. Mordere un limone, gli venne in mente di farlo e lo fece. Poi il vicino, il nuovo vicino, un ragazzo che pettinava i capelli come fanno quelli che rastrellano i giardini bonsai. Il ragazzo lo salutò, gli disse, sto mangiando un mango, ne vuoi uno? Lui lasciò cadere il limone. Certo, rispose. Il ragazzo lanciò il mango. Il vuoto non lo prese.

La paura è sottile come un foglio A4. La paura ti taglia le dita, come un foglio A4. La paura su un foglio A4, questo il compito dato ai bambini dopo il pranzo. La bambina con le trecce bionde disegnò un famoso politico. Il bambino con i capelli a spazzola disegnò suo padre. Gli altri più o meno anche. Lei si mise in testa di fare una raccolta con i disegni dei bambini. La direttrice dell’asilo le disse soltanto, smettila con queste idee, ti farai del male. Lei uscì dall’asilo, andò al supermercato, acquistò una bottiglia di rum scadente, tornò a casa e aprì la bottiglia. Era troppo scadente. Invitò la vicina, la signora dell’altare e delle preghiere in cortile. La vicina bevve un quarto di bottiglia. Tornò a casa e fece le pulizie.
Lei, ora, nel momento in cui l’ora era tarda ma lei non lo sapeva, fece la cosa migliore che potesse fare. Svenne.

Il proprietario di casa sua aveva altre 45 case, nella zona. Un giorno gli chiese se gli andava di potare i giardini. Lui accettò. Sicuro?, gli chiese il proprietario guardando la mano assente nella tasca. Sicuro. La prima casa era brutta, brutti gli inquilini e pessimo il caffè. La seconda casa non rispose. La terza casa era lei. Lei aprì la porta in mutande. Lui sentì l’odore del bucato. Lei disse soltanto, tu chi sei?
Lui lavorò bene, quel giorno. Il giorno dopo tornò, con la scusa di aver dimenticato qualcosa. Lei aprì e disse soltanto, sei tu. Lui la chiamò spesso, soprattutto la sera, la chiamava. Lei rispondeva, lui le parlava. Il sole entrava e usciva, e loro si conoscevano. Poi, alla fine, in modo brusco, come i finali bruschi, come le cose che non vuoi che accadano ma accadono, lei rispose alla sua telefonata dicendo, voglio fare l’amore con Marlon Brando.

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