1a puntata di un serial letterario scadente: L’UOMO CHE VENDEVA ASPIRAPOLVERI

giugno 28, 2011 § Lascia un commento

Il vecchio e la vecchia. Li chiamano così i vicini. I vicini sono convinti che il vecchio e la vecchia siano molto più vecchi di quanto dicano di essere. Vecchi, vecchissimi. La vecchia ha la pelle ricoperta da semi di girasole. Il vecchio usa un inalatore ogni 45 secondi. Gli occhi ce li ha neri, il vecchio. La vecchia si è innamorata del vecchio per via degli occhi, dicono i vecchi superstiti, quelli che conoscevano il vecchio e la vecchia prima che invecchiassero. Il mondo era meno stronzo, dicono i vecchi. Anche il vecchio e la vecchia lo pensano. Il mondo era meno brutto. Ho conosciuto il vecchio e la vecchia una sera.

Sto parcheggiando la macchina di fronte al loro vialetto, ingrano la retromarcia, fletto il collo verso destra, c’è il tramonto oltre i finestrini screziati, una bambina vestita a pois sta tirando una grandinata di calci sul manubrio della sua bicicletta, un uccello con il becco a forma di pistacchio frulla le ali sul tetto di un tizio che ha appena visto l’edizione serale del tg, il figlio del tizio sta rientrando a casa dalla partita di calcetto, la bambina vestita a pois è la sorella del piccolo calciatore, al tg hanno detto che le radiazioni a Fukushima sono in continuo aumento, fletto meglio il collo per vedere il marciapiede, ipotizzo una distanza accettabile tra il paraurti della macchina nera e la mia targa da straniero.

Accade. Me lo aspettavo. Ho sempre pensato che è necessario pensare al peggio per scongiurarlo. Non sono scaramantico. Non mi piace dire di esserlo, e da un po’ di tempo ho smesso di pensarlo. Penso soltanto che certe cose possano essere evitate. Basta pensare ogni mattina alla cosa peggiore che può accadere. Mentre striscio fuori dal letto, cercando di non sbattere contro la mensola che ho appeso al muro un mese fa, mi fermo prima di essere nella condizione per farmi del male. Mi fermo e ragiono. Penso a quello che poteva succedere. Penso a quello che potrebbe succedere. Penso che dovrò togliere quella mensola o spostare il letto. Penso che la vita non mi riserva nessuna sorpresa, se io sono pronto. In fondo lo pensano tutti. Nessuno è aperto a 360° alle disgrazie, alle cose brutte che non ti aspetti. Prendi i vecchi, per esempio. Sanno che dovranno morire, ma non vogliono. Non tutti, certo. Ma la maggior parte non vuole. Ho conosciuto una vecchia, qualche anno fa, a cui avevo venduto un aspirapolvere a rate. La vecchia, arrivo al punto, diceva che non voleva morire, che per lei era troppo presto per morire, che finché era in casa non sarebbe successo niente, che le guerre non l’avrebbero toccata, che nessuno l’avrebbe rapinata in un vicolo, che nessuno l’avrebbe stuprata in un prato. Diceva queste cose, la vecchia, e mi guardava. Le dissi, firmi, signora. La vecchia firmò, e io non so come sia morta.

Accade, quindi. Ma io sono pronto, perché ho pensato, ho fatto un ragionamento.

Così il ragazzino finisce sotto la macchina, e la bambina, che intanto aveva abbandonato la biciletta in un’aiuola, finisce anche lei sotto la macchina per cercare di salvare il fratellino. Il padre degli investiti sta guardando un talk show, mentre i figli stanno per essere spazzati via dalla faccia della terra. Penso alle bare bianche e lascio il pedale della frizione. Accade, allora, che vedo il vecchio per la prima volta. Mi dice qualcosa, ma la paura mi ha gelato i timpani, non sento niente se non il cuore, e non penso a niente, anche se mi ero preparato a cose molto brutte stamattina. Il vecchio, la faccio breve, salva il bambino e la bambina, li aiuta ad alzarsi, li porta in casa e chiede alla vecchia qualche cerotto. I bambini escono sorridenti, quando escono. Intanto il padre dei due sta guardando una puntata di un serial poliziesco. Il mio corpo non si è mosso. Sono rimasto in macchina per tutta la durata della medicazione. Quando il vecchio accompagna i due salvati a casa, io guardo il buio che circonda i tetti. Respiro, scendo dalla macchina, faccio qualche metro per raccogliere la bicicletta, e cado.

Mi ricoverano d’urgenza. Ho avuto un infarto.

FINE 1a puntata

Nota: la 1a puntata del serial letterario scadente è stata scritta in 21 minuti. Riletta una volta. Probabilmente rispetta tutti parametri di un serial letterario. Se così non fosse, commentate pure. Insultate l’autore.

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