Giro sintetico del Mondo Cane

luglio 14, 2011 § Lascia un commento

Sono stato in Thailandia, per esempio. O a San Francisco, in un bar a forma di bara.
Sono stato nel deserto di Atacama, a nord del Cile, il deserto più arido del mondo, dove le piogge non esistono perché nessuno le registra, e se succede succede ogni 15 anni, e quando succede succede una cosa assurda, cioè il deserto fiorisce.
Ho parlato con Luis Gonzalez, scrittore nato a Tegucigalpa, Honduras, America Latina, Giungla del Cazzo, che dice di essere nato nella Comayaguela, la zona dei poveri con i denti marci e le scarpe lisce.
Sono stato a Suhbaatar, al confine tra Mongolia e Russia, e ho rischiato di perdere i piedi mentre Paris Hilton elencava i suoi milk-shake preferiti nel tg serale.
Sono stato in un villaggio etiope verso il confine con il Sudan, a 9 ore di jeep da Addis, dove le donne hanno capelli ruvidi e usano il burro come balsamo.
Sono stato in una vecchia casa di calle Rivadavia, tra le vie Sud America e Bolivia, in una città che di nome fa Buenos Aires, e ho visto il tramonto che sbuca come un calzino arancione tra i palazzi.
Sono stato nella Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, Cina, vicino al lago millenario (il lago Karakul), protetto dalla grande montagna bianca.
Sono stato a Christchuch, Nuova Zelanda, e ho imparato che «ogni viaggio comincia con un vagheggiamento e si conclude con un invece».
Sono stato a Kars, confine tra Turchia e Armenia, dove ho conosciuto Ihsan, che non fuma, non ha i baffi, ed è convinto che Assange sia una spia.
Sono stato a Machine, Arizona. O a Zakopane, nel Voivodato della Piccola Polonia, nella valle bianca, tra i Monti Tatra e la Collina Gubalówka, dove ho comprato il piumino più brutto d’Europa, dove ho visto i boschi di Witckiewicz, dove Bruno Schulz scriveva dei bianchi caracul.
Sono stato a Heidelberg, in Germania. O in Islanda, la terra della Saga degli Sturlungar, dove Gardar mi ha proposto una cena a base di stufato di balena.
Sono stato nell’Isola di Jersey, Canale della Manica. E ho letto che un poeta può sopportare di tutto, che equivale al dire che un uomo può sopportare di tutto.
Sono stato al Lago di Zoccolo (Zoggler Stausee), provincia di Bolzano, Regione Autonoma Trentino Alto Adige-Südtirol, dove ho fatto il gesto dell’ombrello a un tizio di nome Jürgen.
Sono stato sequestrato da gnomi leghisti in una bisca di Varese, dove mi davano 1500 euro al mese per stare fermo tutto il giorno. Poi sono scappato perché non volevano concedermi due giorni di malattia.

Sono stato esule in questa casa, esule in questa terra, esule su questi alberi.

Mi sono pisciato addosso guardando un reality. Ho viaggiato su biciclette che credono nell’auto-determinazione. Sono stato nel bar con l’insegna rossa, quello all’angolo. Sono tornato indietro nel tempo, e sono andato sul set di Ritorno al passato, e ho parlato delle offerte della Simmental con Zemeckis. Ho lavorato per un po’ da un carrozziere su via del Mandrione e ho imparato che gli pneumatici sono la scenografia essenziale di una carrozzeria. Stanno lì ad aspettare, proprio come le palline gialle nei campi da tennis e i fascicoli negli uffici ministeriali.

Ho pensato a Bolaño nella casa di un esule argentino che suona il bandoneón. «Forse tutti noi, scrittori e lettori, diamo inizio al nostro esilio, o almeno a un certo tipo di esilio, quando ci lasciamo alle spalle l’infanzia». Ho viaggiato in un tempo espanso e contratto, e sono stato il braccio destro di Paul Wittgenstein, pianista monco. Ho scoperto che i Maya riempivano le guance dei morti con pezzi di zucca. Che coprivano gli occhi dei morti con monete d’oro. Che i Maya sono morti.Che la morte esiste ancora. Che i nostri funerali sono più noiosi di quelli dei Maya.

E basta, credo.

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