Io e nonno Darwin

dicembre 12, 2010 § Lascia un commento

Oggi è domenica, sul calendario c’è scritto fine marzo, inizio primavera. Fuori la tramontana soffia forte, il sole è tiepido, i turisti sono inebetiti dal cibo e dalle lunghe camminate. Roma è deserta, nonostante i cinquemila partecipanti alla maratona. Hai visto tre ambulanze piene, mentre raggiungevi Via Nazionale. Le finestre dei palazzi sono chiuse, la luce abbraccia il disegno delle panchine vuote. In Piazza Vittorio, prima di salire verso la Stazione, hai notato affollamento sui prati e sopra i gradini e nelle fontane secche. Tutta gente dell’Est e cinesi e gente con la pelle scura e coppie che si tengono la mano e mangiucchiano pezzi di crackers salati. Hai attraversato la piazza, hai proseguito verso Santa Maria Maggiore e lì hai tagliato per Via Cavour e quando sei arrivato sui Fori Imperiali hai cambiato idea: allungando un po’ la strada ti sei diretto verso il Palazzo delle Esposizioni.

A un isolato dall’edificio bianco con la scalinata lunga e tagliata obliqua hai visto un uomo su un triciclo basso: aveva posizionato la sedia a rotelle accanto al triciclo; abbassata una gamba e spinta con le mani verso il punto più vicino alla sedia a rotelle, l’uomo ha fatto uno scatto improvviso con le braccia e l’hai visto seduto sulla sedia a rotelle, che già smontava il triciclo basso.

La mostra su Darwin che hai deciso di vedere è affollata di famiglie e coppie di mezza età. Le madri ripetono ai figli nozioni pratiche sull’evoluzione e i figli ascoltano mentre guardano i cartelloni colorati o spulciano con gli occhi le bacheche con dentro gli stralci dei manoscritti, delle lettere e dei taccuini. Piacciono molto le rane, gli scheletri di pipistrello che se li smonti e li rimonti puoi farci una mano, il serpente in formalina con la punta della coda che pare che dentro ci sia l’acciaio perché è dura e taglia come un coltello, e il pitone che aveva le braccia ma poi è successo qualcosa e ora si ritrova con due moncherini quasi invisibili che lui ha saputo sfruttare al meglio e li usa durante l’accoppiamento, e poi le mandibole di alcuni mammiferi di cui si sa poco tranne che sono gigantesche e poi due esemplari di struzzo e i bambini però avrebbero preferito animali vivi, pensi.

Quando esci ti dici che forse era meglio non pagare i 7 euro e cinquanta del biglietto ridotto per te che hai meno di ventisei anni, oppure che non valeva la pena affrontare lo sguardo di una delle cassiere che ha controllato il tuo documento pensando sicuramente che tu non potevi essere quel Marco L. scritto sul documento. Tu sei cambiato, è vero, però ti sembra eccessivo parlare di evoluzione o mutazione o rinnovamento di identità. e comunque questi pensieri non valgono i 7 euro e cinquanta che hai pagato alla cassiera diffidente.

Sembra difficile da capire ma Darwin ti ha cambiato la giornata. Dopo, quando hai posato lo sguardo sulle panchine e sulle ombre dei corpi seduti, li hai visti con un altro spirito: come scheletri rotondi, in carne, immobili e con l’aria che attraversa le ossicine. Ecco, hai pensato a quanta bellezza può esserci in una giornata darwiniana come quella.

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