Die Trabi (una vera storia vera)

dicembre 14, 2010 § 2 commenti

Die Trabi

Purtroppo Tobias non sa niente di Beautiful.

Non ha mai visto la pelle lunare di Brook, l’ex moglie di Ridge, ora di nuovo sua amante.

Non ha mai annotato le scappatelle di Eric, l’ex marito di Stefany, padre di Ridge, ma su questo i fan credono non ci sia mai stata chiarezza per volere dei produttori, e ancora padre di Thorn, Felicia e Christie.

Non ha mai apprezzato la qualità del dolore di Taylor, l’ex moglie di Ridge, e della rabbia di Ric, figlio di Brook e Eric, in competizione con Ridge.

Non sa nulla dello scandalo di Marone, che da poco si è rivelato a suo figlio, Ridge, scatenando una gran confusione, perché di Stefany nessuno ha mai dubitato, e perché i produttori ritenevano che fosse finalmente arrivato il momento di svelare certe piccole verità.

Ignora assolutamente che Taylor abbia avuto una storia con Ric, il figlio di Brook, e che le due si odiano, si odiano sul serio.

Tobias di questo non sa niente. Ignora i drammi altrui così come gli altri ignorano il suo.

Il vento è forte, viene da Nord, brucia gli occhi e piega i fiori campestri.

La strada è dritta, le corsie sono libere, non ci sono macchine per chilometri e chilometri.

C’è solo il cielo fitto, nuvole che incontrano altre nuvole, boschi.

Tobias guida una Trabant P 601 gialla dell’86, interni in pelle marroncina, quattro marce. Il cruscotto nero è ingombro di carte geografiche e pacchetti vuoti di Inka, le sigarette dell’Est.

Mantiene la velocità media sugli 80 km./h., nonostante sia costretto ogni tanto a fermarsi per mangiare e andare al bagno. Quando riparte pigia per un po’ sull’acceleratore. In questo modo la media sarà uniforme, i calcoli che ha fatto risulteranno precisi.

Deve essere a Berlino per le cinque del pomeriggio dell’8 novembre 1989.

Il proprietario della concessionaria con cui ha parlato al telefono, Peter Dienstag, gli ha detto che ha tutte le carte in regola per comprare una macchina di fabbricazione italiana, una Fiat.

La strada prosegue uniforme, almeno per i primi cento chilometri. A volte a destra, altre volte a sinistra, scorre un paesaggio che gli è familiare. Alcune case sono diverse da quelle a cui è abituato, è vero, ma il Muro, l’immensa mole che divide il mondo in due, è sempre lì.

Il muro scorre con le torri di guardia bene in vista, e al centro la zona della morte, che a volte è larga quanto un’autostrada, e altre volte è un po’ più stretta di un vicolo di città: è un pezzo di terra battuta lungo 155 chilometri, ripieno di mine anti-uomo, filo spinato e sbarramenti a croce.

Tobias sa tutto sul Muro.

La piccola stanza in cui viveva con sua madre aveva un unico pregio: poteva guardare il Muro senza esserne schiacciato.

Il fatto è che Tobias Schulze è nato proprio il 15 agosto del 1961, quarantotto ore dopo l’operazione “Grande Muraglia”.

Mentre Magda, la madre, lo rimpinzava di latte con la sua grande mammella teutonica, a venti metri da casa sua, uomini in uniforme costruivano un muro con materiali di scarto.

Anni dopo Tobias ha sposato Johanna, il 7 marzo del 1982.

Lei avrebbe voluto una cerimonia in grande stile, una chiesa, un parroco, le damigelle, i testimoni. Invece si sono dovuti accontentare di un funzionario con i baffi. L’importante, comunque, era essersi trovati.

Forse sembrava a tutti una cosa scontata, che prima o poi Tobias e Johanna sarebbero finiti sotto lo stesso tetto. Probabilmente nulla di quello che accadde sarebbe accaduto se Tobias non avesse iniziato a lavorare alla fabbrica di automobili.

Per fortuna l’amore non dipende da quello che la gente pensa.

Johanna, la primogenita dei vicini di casa di Tobias, gli Herion, era una bambina bionda con una lunga treccia che non stava mai ferma, un momento qui, un momento lì.

Tobias, un ragazzino senza padre, tirato su dalla madre alcolizzata e dallo zio ladro, vedeva in quella bambina tutto ciò che di buono ci può essere nell’umanità.

Il pomeriggio, dopo scuola, stavano insieme a casa degli Herion.

Una volta al mese, da almeno cinque anni, arrivava un pacco, un oggetto misterioso imballato con metri di scotch e pieno di bolli statali.

Lo inviavano i nonni di Johanna, due simpatici vecchietti che erano riusciti a passare nella parte Ovest prima che il Muro raggiungesse le campagne.

La cosa buffa è che il pacco non aveva viaggiato per più di 200 metri, ma era segnato da così tanti visti, che per un turista ignaro delle regole dell’Est poteva tranquillamente provenire dal Bangladesh.

Allora Johanna scapicollava sul vialetto di fronte, entrava attraverso il portone di ferro battuto e bussava alla porta di casa di Tobias.

Magda, che beveva senza sosta vodka a buon mercato, apriva, e lasciando socchiusa la porta chiamava il figlio con un filo di voce.

«Scendi, c’è la tua amichetta».

Quindi faceva entrare la bambina in cucina e la guardava con gli occhi annebbiati.

«E’ arrivato un altro pacco, vero?»

La bambina annuiva, si toccava la treccia, sbirciava poco sopra la spalla sinistra di Magda e vedeva il lavello, i piatti incrostati, sporchi da giorni.

«Perché non dici a tuo padre di passare, uno di questi giorni?»

Johanna inclinava la testa verso il basso e fingeva di controllarsi le punte degli scarponcini, sperando che Tobias arrivasse prima della prossima domanda.

«Il Muro è molto grande e molto lungo, e diventerà sempre più grande e sempre più lungo».

Tobias amava spiegare a Johanna e a sua sorella, la piccolissima Renate, certe cose che sapeva sul mondo.

«Prima del Muro c’è stato il Vallo di Adriano».

Le due bambine lo guardavano come fanno i bambini quando si cattura la loro attenzione. Lo ascoltavano con le bocche spalancate. Johanna rigirava la treccia tra le dita e Renate teneva le piccole mani intorno al viso.

«Prima ancora c’è stata la grande Muraglia cinese, che è lunga 2.500 km.»

Tobias adorava quelle storie.

«Nella Grande Guerra quei porci effeminati dei francesi hanno costruito la Linea Maginot, ma non vale uno spillo».

Renate imitava il movimento degli occhi di sua sorella. Ad ogni nuova notizia le sorelle Herion sgranavano gli occhi. Tutto ciò dava molta soddisfazione a Tobias. In pompa magna affermava:

«Gli ultimi a costruire un Muro prima di noi, sono stati i tedeschi, nella seconda guerra mondiale, si chiamava il Muro dell’Atlantico».

Qui Johanna smise di sbattere le ciglia.

«Scusa Tobias, ma noi chi siamo?»

Il giorno del secondo anniversario di matrimonio, Tobias fece una sorpresa a Johanna. Aveva compilato tutti i moduli che andavano riempiti, aveva parlato con tutti i funzionari incaricati di visionare le pratiche e aveva contattato le concessionarie più vicine.

Purtroppo a Karl Marx Stadt nessuno vendeva macchine che non fossero uscite dalla fabbrica in cui lavorava Tobias. La macchina che si produceva in quegli impianti era la Trabant, che era anche l’unica macchina che i cittadini della Germania dell’Est potevano possedere.

La sorpresa a Johanna consisteva in un modulo che garantiva che prima o poi avrebbero avuto la loro macchina di fabbricazione europea.

Johanna ne fu entusiasta.

Nel gennaio del 1986, piccoli gruppi di operai impiegati nella fabbrica di Karl Marx Stadt organizzarono uno sciopero per le condizioni lavorative.

Tobias all’inizio non voleva sentirne parlare. Temeva che ogni segnalazione potesse intralciare le sue richieste, il suo piccolo sogno, la macchina che desiderava più di un aumento, e più di cose che al momento non gli avrebbero cambiato la vita.

Ma partecipò al corteo, come tutti gli altri operai.

Johanna andava a trovarlo in fabbrica tutti i giorni, poco prima della pausa pranzo.

Quel giorno nevicava.

Johanna amava la neve, i fiocchi d’acqua gelata, il silenzio delle piazze e delle case popolari, tutto le piaceva quando nevicava.

Indossava un cappotto grigio e proteggeva i capelli con una sciarpa di lana grezza, che lei stessa aveva cucito l’inverno scorso.

Quando arrivò nel viale della fabbrica, poco prima di sorridere a suo marito, poco prima di mettergli tra le mani un fagotto caldo, il suo piatto preferito, brodo di pollo e verza, poco prima di soffiare un ti amo tra gli occhi gelidi del suo amore, qualcuno sparò.

Nel maggio dell’88 Tobias e Renate si giurarono reciproca fedeltà di fronte ad un funzionario con i baffi. Tra le cose che lei si portava come dote c’erano i vecchi modellini di automobili europee arrivati con i pacchi mensili.

I nonni delle due bambine pensavano sempre al piccolo Tobias, prima di imballare il pacco che avrebbe attraversato il Muro.

Ovviamente erano oggetti preziosi perché univano Tobias, Renate e Johanna ad un mondo scomparso, l’età dell’infanzia.

Johanna aveva accolto da subito il sogno di suo marito e così fece anche sua sorella.

Per fortuna l’amore non dipende da quello che la gente pensa.

A luglio, Renate aprì una lettera del Ministero dei Trasporti. Tobias era in fabbrica, e lei non ce la fece ad aspettare. Finalmente il Ministero dava il nulla osta per la macchina italiana. Nella lettera si diceva che in seguito avrebbero ricevuto tutti i dati utili per prelevare la macchina.

Probabilmente qualcosa stava cambiando nella Germania dell’Est. Un anno prima, Reagan, il presidente americano, in visita a Berlino, aveva detto:

«Se vuole la pace Mister Gorbaciov, abbatta questo muro».

A cena, la sera stessa, Tobias e Renate parlarono a lungo dei cambiamenti. Forse il Politbureau avrebbe concesso più libertà. Forse i viaggi non sarebbero stati più proibiti. Forse la vita sarebbe cambiata.

Il vento è cambiato, sembra che le nuvole dicano pioggia.

Tobias si ferma in un’area di sosta. Deve sgranghirsi le gambe, fare un goccio.

Prima di rimettersi alla guida controlla il fascicolo che dovrà presentare tra quattro ore alla concessionaria del Signor Dienstag.

Tutto a posto. Finalmente avrà la sua Fiat, il suo gioiellino rosso. Renate lo aspetta a casa. Deve solo arrivare in città, lasciare la Trabi nel parcheggio della concessionaria e andarsene con la nuova macchina.

Inizia a piovigginare e Tobias alza il finestrino.

Il paesaggio è cambiato. Ora c’è meno verde, i boschi sono lontani. L’aria è fredda e il vento robusto. Può sentire le sferzate che quasi sollevano l’automobile di fabbricazione sovietica.

S’accende una sigaretta e controlla per l’ultima volta la carta geografica. Manca pochissimo a Berlino.

Pensa a Johanna, a come se n’è andata, colpita da un poliziotto durante quello stupido sciopero.

Pensa a Renate, la sorella di sua moglie, e a quanto sia importante che lei esista. Non avrebbe potuto ricominciare senza di lei. Forse per lei è lo stesso.

La vita è andata così, non ci pensare. Accendi la radio, Tobias, ascolta un po’ di musica, ti fa bene.

Accende la radio e abbassa un po’ il finestrino per espirare fuori il fumo denso della sigaretta.

Sta arrivando, finalmente arriva.

La radio interrompe le trasmissioni per trasmettere un comunicato di Günter Schabowski, membro del Politbureau.

Tobias ferma la macchina.

La conferenza stampa è affollata. La radio trasmette i colpi di tosse, il fruscio dei bloc-notes.

La voce di Schabowski è incerta. Riesce comunque a leggere il comunicato con rigore.

Dice che i viaggi privati verso l’estero possono essere richiesti senza il bisogno di dichiarare alcuna condizione. Nessuno dovrà spiegare i motivi del suo viaggio. A nessuno verrà chiesto lo stato dei rapporti famigliari.

Poi il corrispondente Ansa da Berlino Est, l’italiano Riccardo Ehrman, chiede da quando le nuove misure entreranno in vigore. Schabowski rilegge velocemente il comunicato. Gli è stato consegnato da poche ore. Non è chiaro su questo punto. Allora azzarda:

«[1]Das tritt nach meiner Kenntnis… ist das sofort, unverzüglich».

Tobias butta la cicca.

Rialza il finestrino e torna indietro.


[1] «Per quanto ne so….immediatamente».

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§ 2 risposte a Die Trabi (una vera storia vera)

  • Peppo ha detto:

    La storia mi piace, non solo per passione storica. Me la vedo già in quella granatura decisa da pellicola dell’est anni ottanta.
    Ovviamente devo mettere in luce due cose, da esperto.
    La prima è che non hai detto cose a caso, ma hai seguito beautiful per un certo lasso di tempo.
    La seconda è che risale a diverso tempo fa, posso azzardare un tre o quattro anni.

    • marcolupoaltezzaunoeottantascarpequarantacinque ha detto:

      Per chi gli piace la critica genetica:
      posso svelare questo:
      è vecchio di qualche anno. Baci Pppone

commentum, i

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