Grondo
luglio 21, 2011 § Lascia un commento
Grondo. Grondo. Grondo di sudore. Il sudore è acqua. Grondo. Grondo. Grondo di acqua. Ma se fosse acqua non gronderei. Starei fresca. Invece grondo. Di sudore. Acqua.
Facesse meno caldo mi lamenterei. Perché sono attratta dagli opposti. Facesse freddo mi lamenterei. Perché sono attratta dagli opposti. Mia sorella mi piace. È opposta. Apposta dico che mi piace. Se potessi avere il suo corpo, io. Mia sorella mi piace. Lei non gronda. Né di sudore, né di acqua. A lei il caldo piace. E le piace pure il freddo. A me no.
Lavoro. Lavoro in un ristorante. Faccio la cameriera. È un buon lavoro. Un lavoro che ha qualche difetto, ma è un buon lavoro. Lavoro in un ristorante. Sul Vesuvio. Cioè, non è sul Vesuvio, ma dà sul Vesuvio. Comunque è abusivo.
Servo i camorristi. Quelli della camorra. Li servo ai tavoli. Mangiano molto. E hanno bisogno di qualcuno che li serva. È così che funziona. C’è chi mangia, e c’è chi serve. Gli opposti. Vengono a festeggiare i matrimoni, i battesimi, le comunioni, le cresime, gli onomastici, i compleanni, le nascite, le morti. Festeggiano spesso.
Lavoro per più di dodici ore. Loro mangiano per più di dodici ore. Mangiano, come se fosse l’ultima cena. Quando arrivano ai tavoli, il proprietario ci dice i nomi dei clienti, e dice, stai attenta a questo, non fare cazzate, dagli tutto quello che ti chiede, non rispondere, rispondi sempre di sì, sorridi, ma non ridere. Poi mi chiede, hai capito? Rispondo, sì.
Ma non c’è bisogno delle sue raccomandazioni. Loro te lo fanno capire subito. Quando si siedono, lasciano le pistole a centro tavola. Ognuno ne porta un paio. Ma lasciano solo la pistola voluminosa. Quella che mettono nei pantaloni. Le pistole sono chiare. Non c’è bisogno che mi chiedano, hai capito?
Però non posso fare a meno di sudare. Grondo. Grondo mentre servo la zuppa di pesce. Grondo mentre apro una bottiglia. Grondo mentre ritiro i piatti. Chiedo sempre se hanno finito. Ma è difficile che mi ascoltino. Allora può succedere che tolga i piatti per paura di disturbarli, e qualcuno si disturba perché gli ho tolto il piatto. E allora…grondo.
E questi signori che servo, si chiamano tutti don, don Ciro, don Salvatore, don Nicola… Si chiamano come preti. Ma non vestono come preti. E poi i preti… non hanno le pistole. Non quelli che conosco io.
Lavoro per più di dodici ore. E per tutto il tempo ascolto la musica. Perché qualsiasi cosa si stia festeggiando, c’è della musica. Musica da ristorante. Di solito sono in due. Uno suona la pianola, l’altro canta. È incredibile quanto riescano a cantare. E i camorristi sembrano bambini, ballano e cantano tutti insieme. Quando c’è la musica, non sembrano mafiosi. Sembrano bambini.
Ho conosciuto molti cantanti famosi al ristorante. A Napoli, se vuoi diventare famoso, devi cantare ai matrimoni, ai battesimi, alle comunioni, alle cresime, agli onomastici, ai compleanni, alle nascite e alle morti. Ecco perché a Napoli tutti sanno cantare. Col cavolo che a Milano cantano così.
A noi ci resta la musica, le pistole.
E quando la musica finisce, e le portate sono state consumate, e i don sono così ubriachi da non ricordarsi più il codice dell’obbedienza, allora scatta l’ora della retata.
I poliziotti aspettano fuori. Perché a Napoli non c’è bisogno di essere un poliziotto per sapere. E i poliziotti a volte sanno, altre fanno finta di niente. Come quando festeggiano tutti insieme, con i preti e i camorristi.
Ma quando la musica finisce, e il cantante appende l’ugola a una sedia, allora arrivano. Vengono con le armi in pugno. Puntano i mitra nella sala. E i camorristi sanno che tocca al don, tal dei tali, che dovrà farsi un po’ di carcere.
Mia sorella dice che è uno schifo. Dice che non dovrei lavorare per quegli schifosi. Però pure lei lavora per quegli schifosi. Tutti lavorano per quegli schifosi.
L’altro giorno, durante una retata nel ristorante, uno dei don mi ha dato una cosa avvolta in un tovagliolo. Mi ha detto che se facevo come diceva lui, avrebbe dato molti soldi a mio padre. I don sanno tutto. E figurati se non sanno che mio padre è povero, che ha speso tutti i soldi della liquidazione in un carico di sigarette. Che i poliziotti hanno sequestrato. E lui, che era la prima volta che lo faceva da solo, è rimasto senza un euro.
Allora io ho nascosto la cosa avvolta nel tovagliolo nella mia borsetta e l’ho messa nello spogliatoio. Grondavo. I poliziotti cercavano qualcosa. Avevano portato i cani che saltavano sui tavoli e annusavano gli amaretti e facevano cadere il vino.
Poi è successo che un cane è entrato nello spogliatoio. Grondo.
Ma io non mi lamento.
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