Fare il vento con i mortaretti, travestiti da Harvey Keitel, la notte di capodanno

dicembre 31, 2010 § 3 commenti

Il bar sotto casa mia è piccolo, si chiama bar ed è sempre pieno di operai. Gli operai che lo riempiono lavorano nei laboratori e nelle officine che circondano il bar. La maggior parte di questi operai hanno facce scavate dall’acne e dalla rosolia, facce sfregiate dal morbillo e da eczemi sconosciuti. Uno di questi operai, per esempio, mi fa pensare spesso ai marinai di Melville, a quelle facce da filibustieri, a quei visi tagliati dal vento in poppa e dal rum in coperta. La sua faccia è rossa e maculata, e sulle guance glabre piccoli porri color crema spuntano accanto alle fossette di carne mangiata dagli anni, erosa da una vita di cui non so nulla. Però conosco le abitudini di questa faccia da operaio, e conosco bene il profilo del naso porcino quando cala sulla birra fredda alle 7.30 del mattino, e conosco anche piuttosto bene il suo passo svelto mentre attraversa i binari e gira il collo grinzoso per vedere se un trenino sta per segargli le caviglie, e conosco anche la sagoma da lontano, con quel passo da cattivo tenente, quel corpo tozzo lanciato dai piedi che schiacciano la strada con la foga di un Harvey Keitel operaio, uno da birra fredda alle 7:30 del mattino.

Il bar sotto casa mia è sulla Casilina, mentre casa mia è al Mandrione, e l’uomo con il naso porcino lavora in una delle carrozzerie della zona. Al Mandrione le carrozzerie sono la specialità della zona, perciò tutti quelli che hanno rubato una macchina o che hanno subito un furto o che avevano solo bisogno di un pezzo di ricambio lo sanno, sanno benissimo che al Mandrione certe cose si trovano, secondo me lo sa anche Saviano. Ieri mattina, svegliandomi, ho pensato di scriverci un libro, ma poi uscendo di casa ho incontrato uno di questi filibustieri in tuta blu, e ho pensato che mi piace il mio naso, e che sono troppo giovane per avere la scorta.

D’inverno il Mandrione è bello perché le foglie morte e secche svolazzano tra gli archi dell’acquedotto che segna l’inizio e la fine di questa ex-borgata tanto di moda tra quelli che la conoscono. Pare che sia quasi una cosa esotica viverci, come l’insalata con l’avocado o il risotto alle fragole. Vivere al Mandrione è una cosa che in tanti vorrebbero vantare, ma che pochi possono, per fortuna, perché le case sono poche e perché le carrozzerie da qui non sloggeranno mai.

Verso fine dicembre, diciamo intorno al 31, i ragazzini e i padri dei ragazzini fanno le prove generali dei mortaretti, per vedere se funzionano, se ci sono difetti di fabbrica, per ricordare ai vicini che la notte sarà rumorosa e che alla fine Roma è sud, e che contemporaneamente nelle stradine di tutto il meridione, sotto ai lampioni scintillanti e rischiarati dalla luce intermittente delle luminarie psichedeliche padri e figli fanno la stessa cosa: provano a perdere un dito.

Ai radical- chic questa cosa del dito non piace, e si sentono oltraggiati dal rituale primitivo del mortaretto, dal suono cupo che implode e attraversa le finestre e libera zolfo tossico nell’aria buia. Però a me invece un po’ piace. Mi piace perché mi mette allegria, perché anche se odio i mortaretti, perché anche se ogni tanto tifo per i mortaretti, perché anche se ogni tanto penso che quel mortaretto lì dovrebbe essere difettoso e esplodere sul dito del papà che lo sta accendendo, ecco, penso anche che è giusto che si divertano, che alla fine la fine dell’anno è una cosa bella, e se uno la vuole festeggiare in ospedale sono fatti suoi, mica miei.

Per quanto mi riguarda la fine dell’anno per me è sempre stato un giorno lavorativo. Ho sempre servito ai tavoli o versato da bere, la notte di capodanno. La mia schiena e i miei muscoli atrofizzati lo sanno, se ne ricordano bene. Però quest’anno è diverso. Quest’anno non lavoro.

Una settimana fa, davanti al cassiere di un noto supermarket, al momento del pagamento di quelle quattro cose di cui mi nutro con testardia, il cassiere, un tizio con i capelli neri a coda raccolti da un elastico verde, quello dei mazzetti della rucola, per intenderci, mi ha raccontato la storia delle persone che ultimamente usano una tecnica nuova per fare il vento. Fare il vento vuol dire mangiare e bere in un posto e poi uscire facendo finta di niente, e poi correre sperando che nessuno abbia intenzione di venirti dietro. Questa nuova tecnica consiste nel procurarsi una giacca usata, una giacca dal valore inferiore a quello previsto per la cena, perché se no non conviene. Ma i posti che vendono giacche usate a cinque euro sono tanti, perciò. Il trucco consiste in questo: mangiare e bere, e poi dire che si va fuori a fumare una sigaretta, lasciando la giacca bene in vista sullo schienale della sedia. Poi fuggire.

Nel tardo pomeriggio del 31 dicembre sono passato dal supermarket per prendere una bottiglia di vino. Il cassiere con la coda fluente mi ha riconosciuto e passando la bottiglia sopra a quell’affare che fa il segnale acustico quando ci passano sopra i codici a barre mi ha detto:

Stasera è da fare.

Cosa?, ho chiesto fingendo di non ricordarmi.

Quella cosa lì, ha detto lui.

Ah, sì, il vento, ho detto io.

Sì, il vento, ha detto lui.

Stasera, se fossi uno coraggioso, mi travestirei da Harvey Keitel, mi riempirei le tasche di mortaretti e andrei in giro per ristoranti e bar, per locali e bar, per discoteche e bar, facendo a tutti lo stesso trucchetto, il vento, e lasciando fuori qualche ricordino, un mortaretto davanti a una saracinesca o un mortaretto nel tubo di scappamento di una macchina, sì, stasera sono proprio dell’idea che “ci sono momenti nella vita in cui proviamo il bisogno di essere canaglie, di sporcarci fino in fondo, di commettere qualche infamia, di distruggere per sempre la vita di un uomo, e dopo averlo fatto potremo tornare a camminare tranquilli”. Lo scriveva Roberto Arlt, ma io non ho intenzione di distruggere la vita di nessuno, penso solo che quest’anno mi ha fatto proprio schifo, e che se l’anno prossimo inizia così giuro che mi metto a scrivere un libro sulle carrozzerie del Mandrione.

Tag:, , , , , , ,

§ 3 risposte a Fare il vento con i mortaretti, travestiti da Harvey Keitel, la notte di capodanno

  • isabella messina ha detto:

    grazie Marco, ti penserò stanotte, uscendo dal bar sotto casa (di pensionati, aperto fino a tardissimo) con due Ceres in tasca, mentre aspetto che i miei bambini tornino dal rave party…

  • marcolupoaltezzaunoeottantascarpequarantacinque ha detto:

    grazie a te, sul serio.

    i bambini sono tornati dal rave?
    quando sono tornati tu avevi il tavolino del soggiorno ancora pieno di ceres vuote, vero?
    siete andati a letto tutti insieme alle 9 del mattino dopo aver fatto colazione oppure no?
    un’altra domanda e poi vado a fare il cous cous:
    dov’è questo bar di pensionati?

  • iacopo ha detto:

    bello, conosco il naso ed anche a me piace il mio.

commentum, i

Che cos'è?

Stai leggendo Fare il vento con i mortaretti, travestiti da Harvey Keitel, la notte di capodanno su Marcolupo's Blog.

Meta